La città iconica di Tubaro, di Italo Zannier
La città iconica di Tubaro
Finalmente un fotografo non “friulano”; Tubaro sembra vivere altrove, o perlomeno sognare in fotografia una realtà aliena, che riesce invece a scoprire proprio nel suo Friuli, rivelando segni universali, componendo metafore metafisiche, insupponibili qui, dove c’è un secolare torpore folclorico da soddisfare. La storia della fotografia friulana si è definita, dopo l’entusiasmo di pionieri come Agricola o Braida, la professionalità di un ex pittore come Malignani e di artigiani come Pignat, Madussi, Di Piazza, Modotti, Hieke…, o l’amatorismo di un Del Torso, nel poetismo di Brisighelli o Antonelli e nell’”artisticità” di Buiatti, Bront, Battigelli, per trovare infine nel neorealismo, nuove soluzioni sintattiche e soprattutto nuove giustificazioni sociologiche. Tutto accadde, comunque, in coerente solidarietà con la cultura friulana nel suo insieme, un coacervo di poeti, letterati, pittori, e, da più di cent’anni, anche di fotografi, che però, fino a questo ultimo dopoguerra, ha connotato con debole identità questa provincia, periferica in ogni senso.
Il neorealismo, anche in fotografia, sollecitò quindi un’analisi meno condiscendente, a volte quasi spietata, della vita friulana; costruì un’osservatorio che cercava di vedere oltre la tradizione del nostro folklore, coinvolgendo tutto nelle maglie di un’ideologia che offriva finalmente alla civiltà contadina il valore della sua vita di fatica e di lavoro, mai ripagato sufficientemente dai canti delle villotte, né tantomeno dalla iconografia in costume delle ultime fotografie zoruttiane, ardentemente combattute da noi allora giovani pittori, poeti, fotografi…; erano gli anni di “Vicolo Florio”.
Stefano Tubaro, come pochi altri giovani in Friuli (ma ricorderei perlomeno Ciani con le sue acide xerocolor, o Paderni, o Gallo…), si è generazionalmente sottratto sia ai folclorismi che ai neorealismi, prendendo semmai a prestito, e collaudandoli nella sua realtà esistenziale quotidiana, i segni di un’avanguardia che ha avuto in Gibson o in Fontcouberta, in Hill o in Turner, alcuni magistrali inventori; quella di Tubaro è, com’egli stesso commenta, una ricerca di definizione fotografica della “storica staticità dell’ambiente urbano in rapporto con il precario passaggio dell’uomo”; l’uomo non il friulano. La città, forse Udine o Pordenone, nelle sue fotografie è intesa come un luogo universale; la gente passa, le luci disegnano ombre labili di percorsi, che la fotografia congela per costruire un’ altra realtà, iconica, alla quale il nostro occhio è ormai costretto a riferirsi, quale unica se non ultima realtà.
Italo Zannier
(presentazione della mostra al “XVII Fotoforum internazionale Alpe-Adria”, Casa delle Arti – Muveszetek Haza, Pècs – Hungary, 1990)