Felicità e infinito, di Licio Damiani
Felicità e infinito
Stefano Tubaro usa la fotografia non come documento, per quanto poetico, del reale, ma come invenzione di una realtà “altra” completamente autonoma. Le immagini fotografiche rielaborate con procedimenti “alchemici”, si trasformano in visionarie epifanie, in lacerti spettrali, in “verseggiamenti” allusivi. Coniugando spezzoni fotografici con materiali eterogenei egli ha composto una complessa e intrigante riflessione sull’infinito come aspirazione, inquietudine, tormentosa ricerca esistenziale. Episodio centrale, punto focale dell’articolato sistema compositivo è l’immagine di un muro in pietra. La pietra è solida, immodificabile, dà sicurezza, ma anche divide, è elemento per costruire una barriera. Luci artificiali rosse e verdi intridono il muro di un’aura innaturale. In uno slargo dell’alone luminoso solcato da lampi bianchi si disegna la sagoma, l’orma, l’ombra dell’artista intento alla ripresa. Lo spuntare oltre il muro di rami di alberi lascia intuire un luogo abbandonato, forse senza limiti; quasi una citazione, dall’Infinito leopardiano della “siepe, che tanta parte / dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”, al di là della quale “il pensier si finge” su “interminati spazi” e “sovrumani / silenzi e profondissima quiete”.
Un dettaglio della grande immagine fotografica è inserita su una pietra appesa ad un filo dorato che scende dal soffitto e la depone a terra, appoggiandola a un vetro infranto. Il filo allude al desiderio di ascesa, al rapporto problematico con l’infinito. Il vetro incrinato significa lo choc che si produce di fronte al fallimento dell’aspirazione e dei tentativi di raggiungere l’Assoluto. E tuttavia, pur nella fragilità e nell’inadeguatezza delle forze, resta importante la tensione: quel filo dorato che dalla pietra sul pavimento, allegoria della pesantezza e dell’insufficienza di uno spirito condizionato dagli impasti di terrestrità, si protende verso il cielo.
Licio Damiani
(testo di presentazione nel catalogo della mostra “Felicità e Infinito”, Palazzo Frangipane, Tarcento UD, 2006)